Blog parallelo

sabato 24 dicembre 2016

Sol Invictus, il trionfo del Sole

Saran stati due o tre solstizi che volevo finire questo disegno dedicato al Sol Invictus. Poi lasciavo perdere perché non avrei fatto in tempo, allorché mi davo alle piadine solari. Buone, per carità, ma non son proprio la stessa cosa.

Sol Invictus di Andrea Baldessari
Disegno realizzato con la fida tavoletta della Wacom e Gimp. Meglio dire concluso con Gimp. Adobe Photoshop rimane più comodo nel gestire lo strumento del pennello, o almeno questa è stata la mia impressione.

Una dedica al sole divinizzato. La tavola riprende l'antica mitologia e le antiche religioni, che vedono il sole come un carro di fuoco che attraversa il cielo da un capo all'altro. Alla guida c'è Apollo e poi Mitra (forse anche Horus?), dipende dal periodo storico. Di sicuro la festa del Sol Invictus si rifà ai precisi studi atronomici del tempo. Cadendo immediatamente dopo il Solstizio d'Inverno, fu ripresa dai primi cristiani e il Dies Natalis Solis Invicti ("Giorno di nascita del Sole Invitto") diventò il Natale come lo conosciamo noi. Simile discorso per la domenica, originariamente giorno dedicato al Sole e poi al Signore. Insomma, i simboli bene o male combaciano, anche se sulla questione c'è un bel dibattito. Quel che penso io è che l'umanità si diverte a differenziarsi, in questo caso con la religione, quando sotto sotto i punti di riferimento son sempre quelli.

Non mi resta che augurarvi buon anno (solare)!
Perché il nuovo anno inzia ora, checché ne dicano Giulio Cesare o papa Gregorio coi loro calendari.

lunedì 12 dicembre 2016

Biscotti di crema di pistacchio

La crema di pistacchio mal si presta ai biscotti. Lo dico fin da subito, andrebbe consumata per quello che è, una crema appunto. Nel periodo natalizio si spalma sulle fette di panettone e non oso immaginare la delizia.
Ciò nonostante ho provato ugualmente a fare i biscotti al pistacchio, belli verdi come quelli della mia ricetta di riferimento.

L'autrice della suddetta ricetta me li ha sconsigliati. Un conto è usare i pistacchi, un altro la crema, avrei sballato tutte le dosi indicate. Tuttavia, leggendo gli ingredienti sull'etichetta, ho scoperto che il latte è assente e i pistacchi costituiscono poco più di un quarto del peso totale. Come rimpiazzare questi ultimi? Penso che le noccioline americane crude si avvicinino un po' come sapore, peccato non averne raccolte a sufficienza; nocciole caserecce, invece, ce ne sono in gran quantità. Ecco le valide sostitute dei pistacchi.
La grande incognita è se il sapore e il tipico colore verde dei pistacchi si mantengano nei biscotti. Da crudi direi di sì, tinti di verde oliva, e pure il sapore non scherza. Pare nutella al pistacchio...

AAA cercasi stampi a forma esagonale perché con questi non finisco più.
Senza tirare in ballo le celle esagonali costruite dalle api nell'alveare, avrei potuto far combaciare le punte della stella in modo da ottenere un alternarsi di stelle e di ottagoni, azzerando gli scarti da reimpastare. Tardi ormai, sarà per la prossima volta.
Infornati, i biscotti non devono prendere colore, altrimenti il verde pistacchio va a farsi benedire e perdono il loro cuore morbido. Ahimé, già li avevo fatti sottili in partenza, quindi con la cottura si sono seccati un po', ben diversi dalle mie (imitazioni delle) paste di mandorle siciliane. Buoni sono buoni, d'altronde sono biscotti al burro: prima si avverte la nocciola prepotente, poi rimane in bocca il sapore del pistacchio.

Una spolverata di zucchero a velo e son pronti. Una parte la conservo nella latta.

mercoledì 7 dicembre 2016

Pastinache contro il tempo

Non son pastinache tardive, ma pastinache seminate tardi... In agosto! Colpa di qualche ignota bestiolina (limacce?) che ha fatto tabula rasa delle (due!) semine precedenti, in terra piena. Sono quindi corso ai ripari seminandole una terza volta in un vaso, ricorrendo poi, per forza di cose, al trapianto manuale di ogni singola piantina...

Le semine precedenti. Delle centinaia di semi interrati, saran sopravissute cinque o sei pastinache. Che fine abbiano fatto le altre, rimane un mistero (notturno, nel caso la colpa sia imputabile a lumache e limacce).


Fine settembre: trapianto e rimozione malerbe
Il trapianto in piena terra ha richiesto il solito mare di tempo, non conviene, ma tant'è. L'ideale sarebbe una pinzetta per i peli, morbida e smussata per non rovinare i tessuti della pianta, alla fine ho risolto con le dita.

Ottobre: crollo delle temperature

Il clima non m'ha aiutato per niente: m'ha messo i bastoni tra le ruote nella mia disperata corsa contro il tempo. Se i cavoli verza se ne fanno un baffo del freddo, le giovani pastinache han bisogno di un isolante termico. Mi sono arrangiato con dei teli spessi di plastica trasparente, che hanno il pregio/difetto di essere impermeabili. Quindi quotidianamente devo scoprire le pastinache per innaffiarle...

Metà ottobre, la prima gelata. Non ci voleva: Le pastinache si stanno sviluppando proprio adesso... Per fortuna l'apparato fogliare resiste e rimane verde per ancora un mesetto.








Ai primi di dicembre il raccolto. Il terreno è diventato ghiacciato e compatto, come estrarre le pastinache e le ultime carote? Semplice: ho atteso qualche giorno, che la temperatura salga di qualche grado, così da essere un pelo agevolato con la vanga. Nella foto a fianco lo sciacquo: fondamentale non bagnarsi le mani per evitare geloni; con un vecchio manico di scopa ho messo in atto la centrifuga che adopero già per lavare le noci.



Ecco il "ragù" di pastinaca:
Infine una nuova ricetta, che chiamo erroneamente ragù di pastinaca. Visto che quest'anno son venute particolarmente piccole e malformate, impossibili da pelare, ho preferito tritarle e poi scottarle in padella. Buonissime, sia nella pastasciutta che da sole.

PARTE 5 - COLTIVARE LE PASTINACHE

domenica 20 novembre 2016

Diario di un cercatore di nomi di funghi, anno 2016

I meravigliosi chiodini del vicino... nel risotto! Chiamati anche chiodini del miele (per il colore e l'appiccoso, presumo), qui in trentino del morar, della ciocca o della bonafamiglia.
Buoni ma velenosi senza un'adeguata cottura. Il veleno, infatti è termolabile, a 70 gradi (ma la lavatrice non va bene...!). Cont tali premesse, provvedo a cucinarli.



I "Lorei" vengon fuori più tardi, ai primi freddi. Finalmente ho scoperto il loro nome: Quél (Clitocybe geotropa, Bull). Quest'anno so dove andarli a prendere e ne ho raccolti tre ceste!
Vengono definiti eccellenti dagli intenditori micologi, ai livelli quasi del tartufo.




Risotto coi chiodini:
Dei chiodini si consuma solo il cappello (a meno che non li abbiate raccolti piccolissimi) e vanno tenuti in ammollo nell'acqua, fatti bollire per neutralizzare la tossina termolabile (ovviamente la schiuma e l'acqua di cottura la si butta via).
Ho quindi spostato i chiodini in una seconda padella, dove avevo già soffritto olio e prezzemolo. Cottura a fuoco lento, senza coperchio affinché i funghi si secchino per bene e perdano del tutto lo sgradito viscidume. Il risultato è fenomenale.
Ecco il magnifico risultato: una cascata di chiodini sul risotto!

"Lorel" o Quél e Mazza di tamburo:
Quél suona come L'orel, forse il nome dialettale si rifà anche all'assonanza. Di sicuro la forma del fungo ricorda un imbuto (l'orel in dialetto, appunto) ove si raccoglie l'acqua piovana.
A destra una Mazza di tamburo (Macrolepiota procera). Prima o poi la impano!

Quèl o Nebulari?
Son funghi che si fan compagnia in novembre inoltrato. I Nebulari, ampiamente consumati fino a pochi anni fa, è stato accertato che siano tossici e provochino avvelenamento nel lungo periodo.
 

Funghi sconosciuti, guardare e non toccare. E infine i funghi sconosciuti, aiutatemi a identificarli con un commento! Grazie!


2015 - DIARIO DI UN CERCATORE DI NOMI DI FUNGHI - 2017

mercoledì 2 novembre 2016

Coltivare le arachidi, parte 2

Giugno: le arachidi crescono al rallentatore. Mentre i fagiolini verdi a fianco si fanno beffe dell'estate secca, le arachidi paiono risentirne. 

Sulle piante compaiono i primi fiori, di un bel giallo, che, tempo permettendo, diventeranno le noccioline americane. Ai lati dei filari dissodo la terra (sotto spiego il perché) e rimuovo le erbe infestanti.
Fiori di Arachide.


Da fine luglio irrigo quotidianamente. Visto che i tempi si fanno stretti e piove poco (e quando piove crolla la temperatura), intervengo per dar una mossa a 'ste lumache. E io che m'illudevo che si arrangiassero come le altre varietà di legumi...


Acqua ogni sera, ma senza esagerare.

Settembre: le arachidi finalmente producono frutto. Alla buon'ora! Dal fiore scende una sorta di appendice rosso-vermiglio che si intrufola sottoterra. Lì sotto si svilupperà il legume. Nota bene: le noccioline americane non crescono come tuberi collegati alle radici, credenza diffusa.
In ogni caso, il caldo se ne va e dubito di ottenere un benché minimo raccolto...




Provo a contrastare l'ingiallimento delle foglie con l'acqua delle barbabietole, rossa per il ferro.

Primi di novembre: scopro le noccioline! Oltre ogni più rosea aspettativa, complice l'autunno molto mite, le piante di arachide più sviluppate hanno qualche legume tra le proprie radici. Sia chiaro, la maggior parte è di dimensioni risibili.

Aggiornamento fine novembre: la beffa dell'umidità. Ha piovuto per una settimana filata, di traverso, e le piante di arachidi, anziché asciugarsi all'aria aperta (poste al riparo ovviamente) si sono bagnate ugualmente. Così buona parte del magro raccolto ha iniziato ad ammuffire sul guscio ed a marcire all'interno.
Metà delle noccioline si salvano, mantenendo un bel colorito. Ne conservo una manciata con ancora il guscio, se mai il prossimo anno ritento la semina. Quelle scartate finiscono nella mangiatoia del pollaio, ma qualcuna l'ho assaggiata: hanno i sapori più disparati, dal pistacchio al pisello.
Quelle sane, una volta tostate, invece, son buone.

PARTE 1 - COLTIVARE LE ARACHIDI - PARTE 3

lunedì 31 ottobre 2016

La zucca trafugata di Halloween

Non sono il tipo che segue le tendenze, tutte le menate che fanno loro seguito e Halloween non fa eccezione (riconosco che la festa in questione, che unisce il macabro al gogliardico, è molto antica e ha il suo perché).
Tuttavia questa zucca ha una storia particolare dietro, un lieto fine da raccontare.
Semina sul letame. Com'è usanza, la zucca è stata seminata direttamente sul letame. La pianta risultante (l'unica sopravvissuta all'appetito delle limacce, a dirla tutta) è cresciuta a dismisura. Dimensioni da far impallidire gli zucchini poco più in là: si vede che la prima ha trovato letame ben fermentato, al contrario dei secondi, rimasti mezzi rinsecchiti.

La zucca trafugata. Nonostante l'estate secca, una bella zucca riesce a svilupparsi. Una sola. Le preparo un letto di fieno, perché temo possa marcire nella parte inferiore.
Poi però succede il fattaccio: qualcuno se la porta via. Strappandola e, visto che frutto e fusto sono tenacemente attaccati, strattonando tutta la pianta. Il ladro l'avrà scambiata per un'anguria? Misteri. Di certo so solo che il suddetto è proprio una fetecchia miserabile.


La seconda zucca. A settembre inoltrato la pianta vittima del furto compie il miracolo: vuoi le precipitazioni abbondanti, vuoi il suo estremo tentativo di avere una discendenza, ecco che mette al mondo una seconda zucca. A tempo di record.
Oltretutto l'autunno mite le concede qualche settimana di vita in più.
Infine, a metà ottobre, raccolgo la zucca dalla pianta ormai moribonda e la lascio sospesa in aria, ad asciugare. Magari matura un po' per conto suo.

Appena in tempo per Halloween. La zucca non sarà grande come sarebbe stata la prima, è ancora verde anziché arancione, ma bisogna accontentarsi.
E poi non è venuta affatto male, nella sua efficace semplicità (io non ho meriti, mi son limitato a fare due foto). Un sorrisone che chiude in bellezza questa storia.

Secondo sabato da turista giapponese

Anche questo sabato ho fatto il turista giapponese per le vie del centro storico di Trento insieme a tanti altri appassionati di fotografia (più appassionati di me di sicuro). Un tour fotografico ufficialmente chiamato instawalk per trento18. Un espediente per mettere in luce la città in vista della candidatura come capitale europea della cultura.
La foto a lato, scattata in Via Belenzani, è stata apprezzata (con un filtro che la sfocava, presente solo sull'app) forse anche per merito della didascalia: secondo un'antica leggenda, nessun piccione osa posar le zampe su tal balcone.
Personalmente non ci avrei scommesso una lira. 


Le guide turistiche ci hanno accompagnato dentro Palazzo Geremia, uno dei tanti affrescati. All'interno diverse opere d'arte, tra cui un plastico di Trento in miniatura interamente di porfido, e reperti storici risalenti all'antica Roma, presumo.



Momento saliente della instawalk è stata la visita alla Trento archeologica, ossia gli scavi che hanno portato alla luce la Tridentum romana sepolta sotto il teatro di piazza Italia.
Notevoli le murature e i mosaici dell'epoca ben conservati e/o restaurati, così come tutta le strutture di sostegno a far da cornice.
Piatto tipico dei tempi antichi
Poi di nuovo in strada a esplorare il centro storico, con una rapida sosta alla gipsoteca che conserva le statue di Andrea Malfatti e a seguire alla biblioteca comunale.
La casa rivestita di rampicanti rossi sul vicolo del Vo' si rivela la star della giornata. Tutti a fotografarla.

Così si conclude la mia instawalk.
Ho sentito la forte mancanza di soggetti da inquadrare, che dessero vita alla foto. Senza, per forza di cose mi sono concentrato su statue e affreschi.
Instawalk conclusa, ma solo per modo di dire: ogni momento è buono per scattare nuove foto, tutti per la cronaca sono invitati a farlo, basta avere l'app Instagram e appore l'hashtag #trento18.