Blog parallelo

lunedì 31 ottobre 2016

La zucca trafugata di Halloween

Non sono il tipo che segue le tendenze, tutte le menate che fanno loro seguito e Halloween non fa eccezione (riconosco che la festa in questione, che unisce il macabro al gogliardico, è molto antica e ha il suo perché).
Tuttavia questa zucca ha una storia particolare dietro, un lieto fine da raccontare.
Semina sul letame. Com'è usanza, la zucca è stata seminata direttamente sul letame. La pianta risultante (l'unica sopravvissuta all'appetito delle limacce, a dirla tutta) è cresciuta a dismisura. Dimensioni da far impallidire gli zucchini poco più in là: si vede che la prima ha trovato letame ben fermentato, al contrario dei secondi, rimasti mezzi rinsecchiti.

La zucca trafugata. Nonostante l'estate secca, una bella zucca riesce a svilupparsi. Una sola. Le preparo un letto di fieno, perché temo possa marcire nella parte inferiore.
Poi però succede il fattaccio: qualcuno se la porta via. Strappandola e, visto che frutto e fusto sono tenacemente attaccati, strattonando tutta la pianta. Il ladro l'avrà scambiata per un'anguria? Misteri. Di certo so solo che il suddetto è proprio una fetecchia miserabile.


La seconda zucca. A settembre inoltrato la pianta vittima del furto compie il miracolo: vuoi le precipitazioni abbondanti, vuoi il suo estremo tentativo di avere una discendenza, ecco che mette al mondo una seconda zucca. A tempo di record.
Oltretutto l'autunno mite le concede qualche settimana di vita in più.
Infine, a metà ottobre, raccolgo la zucca dalla pianta ormai moribonda e la lascio sospesa in aria, ad asciugare. Magari matura un po' per conto suo.

Appena in tempo per Halloween. La zucca non sarà grande come sarebbe stata la prima, è ancora verde anziché arancione, ma bisogna accontentarsi.
E poi non è venuta affatto male, nella sua efficace semplicità (io non ho meriti, mi son limitato a fare due foto). Un sorrisone che chiude in bellezza questa storia.

Secondo sabato da turista giapponese

Anche questo sabato ho fatto il turista giapponese per le vie del centro storico di Trento insieme a tanti altri appassionati di fotografia (più appassionati di me di sicuro). Un tour fotografico ufficialmente chiamato instawalk per trento18. Un espediente per mettere in luce la città in vista della candidatura come capitale europea della cultura.
La foto a lato, scattata in Via Belenzani, è stata apprezzata (con un filtro che la sfocava, presente solo sull'app) forse anche per merito della didascalia: secondo un'antica leggenda, nessun piccione osa posar le zampe su tal balcone.
Personalmente non ci avrei scommesso una lira. 


Le guide turistiche ci hanno accompagnato dentro Palazzo Geremia, uno dei tanti affrescati. All'interno diverse opere d'arte, tra cui un plastico di Trento in miniatura interamente di porfido, e reperti storici risalenti all'antica Roma, presumo.



Momento saliente della instawalk è stata la visita alla Trento archeologica, ossia gli scavi che hanno portato alla luce la Tridentum romana sepolta sotto il teatro di piazza Italia.
Notevoli le murature e i mosaici dell'epoca ben conservati e/o restaurati, così come tutta le strutture di sostegno a far da cornice.
Piatto tipico dei tempi antichi
Poi di nuovo in strada a esplorare il centro storico, con una rapida sosta alla gipsoteca che conserva le statue di Andrea Malfatti e a seguire alla biblioteca comunale.
La casa rivestita di rampicanti rossi sul vicolo del Vo' si rivela la star della giornata. Tutti a fotografarla.

Così si conclude la mia instawalk.
Ho sentito la forte mancanza di soggetti da inquadrare, che dessero vita alla foto. Senza, per forza di cose mi sono concentrato su statue e affreschi.
Instawalk conclusa, ma solo per modo di dire: ogni momento è buono per scattare nuove foto, tutti per la cronaca sono invitati a farlo, basta avere l'app Instagram e appore l'hashtag #trento18.

domenica 30 ottobre 2016

108 tonnellate di tir sul cavalcavia

Nessun cavalcavia avrebbe retto 108 tonnellate concentrate sopra un unico automezzo. E' come se Godzilla poggiasse la zampa su di un ponte... non lo fa, non è stupido. Sa che poi s'inciampa nei tiranti. O come se un elefante volesse sedersi di proposito su uno sgabbello... non lo fa, si spaccherebbe l'osso sacro. Se poi al circo lo fa, è un'altra storia. Io non voglio diventare una sottiletta per una stronzata del genere.

Il cavalcavia sulla Milano-Lecco prima del crollo, immagine tratta da Google Maps.

Cosa spinge un camionista al volante di un trasporto eccezionale ad attraversare un cavalcavia sospeso sopra un'autostrada aperta al traffico? Stupidità umana, per caso? Sarebbe facile limitare il tutto alla stupidità, credo piuttosto che sotto sotto ci sia un eccesso di confidenza. Gli incidenti sono causati sempre o quasi da un eccesso di confidenza, vuoi per le proprie capacità, vuoi per quelle altrui, per la tenuta di strada del veicolo e per mille altre cose. Non si tiene mai conto che errare humanum est, che la disgrazia sta sempre pronta dietro l'angolo. Che l'abuso di macchinari, di trasporti su strada, delle stesse strade, comportano fattori di rischio non indifferenti.

Il cavalcavia dall'autostrada prima del crollo.
Ora pare che stia dando tutta la colpa al conducente e stia a sorvolare sulle altrui responsabilità, ma riguardo il video dell'incidente e lo trovo assurdo: il trasporto eccezionale procede a velocità lumaca, quasi a voler mettere alla prova la solidità del cavalcavia.
Sia chiaro, io di portata di camion, tir, autoarticolati fino a ieri non ne sapevo niente. Facendo qualche ricerca sono venuto a sapere che:
- l'autocarro trasporta massino 12 tonnellate
- l'autotreno 44 tonnellate
- l'autoarticolate dalle 26 alle 44 tonnellate (?).
I carichi eccezionali, invece, arrivano tranquillamente alle 400 tonnellate, pesi da capogiro insomma. Circolano soltanto previa autorizzazione.

Calcolare quante tonnellate regge un cavalcavia o un ponte è un altro paio di maniche, bisogna essere ingegneri. Speravo di trovare un segnale stradale all'imbocco del cavalcavia crollato, ma mi pare non ci sia niente. Percorrendolo però virtualmente (su Google Maps), conscio di portarmi dietro 108 tonnellate d'acciaio, il divieto di transito me lo sarei imposto da solo.

domenica 23 ottobre 2016

Missione: Instawalk per Trento18

Un power bank per smartphone in regalo, si vede che è destino. Costerà su per giù una decina di euro, però, dai, è stata una sorpresa carina, di un bel giallo-evidenziatore e targato comune di Trento. Uno scaldamani riservato ai partecipanti della Instawalk per Trento18, per dirla in italiano quattro camminate fotografiche per promuovere la candidatura di Trento a capitale italiana della cultura 2018. Tramite Instagram, app per smartphone.
Personalmente volevo mettere alla prova la mia reflex, perché senza soggetti a disposizione è dura prendere la mano...

Ingresso gratis al MUSE di Trento, seconda sorpresa della giornata. Solo tre quarti d'ora a disposizione (ne sarebbero serviti almeno il doppio), ma tant'è, sono andato di corsa.
Partito dallo scantinato pieno zeppo di fossili e di bestioline imbalsamate, sono salito via via sui piani superiori. Oltre il parapetto, sospese a mezz'aria, decine di altre creature.
Ho accorpato gli scatti, tenendo conto che erano riservati per Instagram e non volevo pubblicare una carellata di trenta fotografie.

Poi una rapida visita al Palazzo delle Albere e alla mostra che ospitava, fotografica, sulla prima guerra mondiale. Senza tralasciare la passeggiata tra gli avvenieristici quartieri progettati da Renzo Piano (peccato che non sono un granché a fotografare le opere architettoniche...). 
All'interno del palazzo ho giocato con la prospettiva, mettendo insieme l'affresco con il telaio di una delle fotografie, così da far intendere che il vecchio si sorregge sul nuovo. Ma anche viceversa.





L'instawalk si conclude nel teatro sociale di Trento, dopo una breve sosta nella facolta di sociologia (dove però mi sono perso in chiacchiere con i professionisti che dispensavano consigli).
Teatro sociale aperto al pubblico in occasione della Giornata del Teatro. Un'occasione mancata, vuoi per il gran via vai di gente e per la fretta (le tre ore alla fine son volate). L'atmosfera confusionaria all'interno si è rivelata comunque suggestiva, ricca di dettagli e di esibizioni che purtroppo non sono riuscito a immortalare (reflex o non reflex, è arduo fotografare in ambienti chiusi).


Ci ritenterò il prossimo sabato, con la visita (la quarta e ultima, mi son perso le prime due!) all'area archeologica.

PS: tutte le foto dell'Instawalk sono visibili su Instagram con l'hashtag Trento18.

sabato 22 ottobre 2016

Perché i fazzoletti di carta sono sì biodegradabili, ma non in tempi brevi

A sinistra potete notare lo scavo del tasso, dove, come sua abitudine, ci caga dentro. Lo fa perché si ciba di larve e di insetti e, arricchendo il terreno di materia organica, si agevola la ricerca del cibo in tempi futuri.
A destra potete notare la toilette abituale del villeggiante maleducato con tanto di bottiglia d'acqua minerale frizzante per il bidé e mezzo pacchetto di fazzoletti, in mancanza di carta igienica.
Che qualcuno spieghi a questa persona (e a tutte le altre che fanno pressapoco lo stesso) che i fazzoletti di carta impiegano tre mesi a decomporsi. Per tre mesi, quindi, i suddetti fazzoletti rotoleranno sospinti dal vento avanti e indietro nel campo. Perché io di certo non sto a raccoglierli.

E la bottiglia? Non serve che lo dica, avete già capito cosa dovrebbe fare quella persona con quella bottiglia.  

Nel caso delle feci del tasso lungimirante, invece, basta sospingere sopra la zolla d'erba e la terra di riporto col piede e non si vede più niente. Anzi, la bestiola ha pure concimato il suolo. Almeno lui, che chi taglia il fieno puntualmente se ne dimentica...

Indagando un po' sul web, ecco una tabella indicativa sui...

...tempi di decomposizione dei rifiuti abbandonati in natura:

Torsolo di mela da 15 a 90 giorni
Fazzolettino di carta da 3 a 6 mesi
Giornale da 4 a 12 mesi
Filtro di sigaretta almeno 2 anni
Gomma da masticare almeno 5 anni
Lattina di alluminio da 20 a 100 anni
Bottiglia di plastica da 100 a 100 anni
Carta telefonica più di 1000 anni
Bottiglia di vetro più di 4000 anni

La gente pensa a torto che i tempi siano più brevi (anch'io non immaginavo tempistiche del genere). Un conto è gettare la carta igienica nelle acque nere, dove, tra ammoniaca, fanghi e batteri, la decomposizione si fa molto rapida. Un altro conto è lasciare i fazzoletti (che durano più della carta igienica) all'aria aperta, sopra il manto dell'erba, con sporadiche precipitazioni e il sole che puntualmente li asciuga. Il vento che puntualmente li mette a stendere sui rami...
Meglio sotterrare tutto come fa il tasso, fazzoletti biodegradabili inclusi: ci penseranno i lombrichi e tutte gli altri abitanti del sottosuolo a cibarsene e a trasformare tutto in humus.

lunedì 17 ottobre 2016

Coltivare il mandorlo 3: immune ai bruchi

Marzo: fatti più in là... Le peripezie del mio mandorlo seminato (e redivivo) non finiscono mai: ho dovuto trapiantarlo una seconda volta, per far spazio a due mandorli innestati comprati nella fiera di S. Giuseppe a Trento. Era già germogliato, per giunta, ma ho avuto l'accortezza di spostarlo con tutto il suo pane di terra.

Fine aprile: germogli e talee
Il mandorlo non pare risentire del trasloco, è un'esplosione di germogli.
Nella foto accanto, pure le talee germogliano, peccato che poi, nonostante le abbia mantenute umide, siano tutte avvizzite.



L'assenza dell'inverno ha fatto rifiorire il mandorlo della vicina dopo lungo tempo.

Giugno: bruchi a tavola. Al vivaio me lo dicono sempre: mai comprare le piante in fiera, che si prendono fregature. Empiricamente do loro ragione, difatti uno dei tre mandorli innestati (il migliore), dopo un inizio molto promettente si è seccato tutto di colpo, in piena estate.
Agli altri due mandorli, che fanno compagnia al mio seminato, è andata pure peggio: i germogli non facevano in tempo a svilupparsi che venivano divorati dai bruchi. Bruchi maledetti che rimuovevo quotidianamente, che aspergevo di tintura d'aglio... invano.

Metà ottobre: mandorlo e... pesco
Il mio mandorlo seminato, per fortuna, risulta indigesto per i bruchi (o forse è germogliato completamente prima del loro arrivo!) e ha sopportato bene anche la micidiale siccità estiva. Da questa angolazione sembra esile, ma ora sfiora il metro d'altezza e il fusto si è ingrossato parecchio rispetto a com'era in primavera.
Nella foto accanto, ecco un piccolo pesco spontaneo, alla base del fico nero. Mi ero illuso che fosse un mandorlo, ma gli esperti del web mi han prontamente smentito. Se poi è vero che mandorlo e pesco usano lo stesso portainnesto, le due piante fotografate sono incroci molto simili tra loro. Si spera che il mio mandorlo faccia mandorle...

PARTE 2 - COLTIVARE IL  MANDORLO - PARTE 4

lunedì 10 ottobre 2016

Dal grano al farro cotto, con ricette

Rimango pur sempre un granivoro... Avevo espresso tanto entusiasmo per il frumento del mugnaio, ma da quando compro il farro del supermercato, devo ammettere che è tutta un'altra storia (compro il farro perché la semina non è andata a buon fine). Costa molto di più ovviamente, risparmio giusto qualcosina comprandolo in sacchi da cinque chilogrammi. 
In fondo al post un elenco di ricette sperimentate.






Attenzione alla conservazione! A comprarne così tanto e ad essere così prezioso, il farro bisogna farlo durare (ne consumo un bicchiere alla settimana). Quindi l'ho inscatolato nella latta, le precauzioni non sono mai troppe.

Le farfalline di casa (Tignola fasciata) ci svolazzano intorno e si appostano a poca distanza, che sembrano quasi fiutarlo.

Via l'acido fitico. Ho rimediato una pignatta, ideale col suo beccuccio, per tenere il farro a mollo, quei tre giorni necessari per spurgarlo dell'acido fitico contenuto.
L'accorgimento si rivela necessario nel caso di farro decorticato, se perlato non ce ne dovrebbe essere bisogno (vien privato della crusca).
Aggiornamento Ultimamente ho letto che l'acido fitico è un antiossidante... chi avrà ragione?

Il farro fatto bollire per dieci minuti e fatto raffreddare per una notte intera.

Farro in scatola. Mi sembrano delle razioni comode (scadono tra due anni) e ne ho comprate un bel po', ma onestamente preferisco il farro di sopra. L'etichetta dice cotto al vapore, difatti è più duretto del mio bollito e si può consumare freddo.
Uno spuntino alternativo (salutare di sicuro).






Ricette in nome dei sapori. Il farro, come il grano, è insipido e bisogna abbinarlo con qualcosa di saporito (melanzane, speck sedano, cipolle...), ecco le mie proposte:

Un piatto veloce: farro cotto, pomodorini e olio d'oliva.

Farro, erbe cotte e cotechino, corposo e natalizio.
Farro cotto e condiriso, per la serie le cose semplici funzionano sempre, piatto saporito e leggero.

Farro e profumi dell'orto: menta, ortica e rosmarino essiccati, soffritti nell'olio d'oliva.
Farro e fagioli: cereali e legumi non stonano come sembrerebbe, anzi, leggo a questa pagina che

[...]il farro è povero di aminoacidi essenziali, in particolare di lisina, tale carenza viene facilmente compensata dall’accostamento gastronomico con le leguminose, è quindi adatto per essere combinato con i legumi per ottenere piatti unici non troppo calorici.

Farro cotto con cipolla e formggio di capra, ricetta di sostanza.
Farro cotto, speck a quadratini e profumi dell'orto, a dir poco sfizioso.

Continua...

Noci rosse caramellate, tentativi maldestri

Il problema delle noci nere, sporche di mallo e propense a marcire in fretta, si è rivelato l'occasione di preparare le deliziose noci caramellate. Una volta sgusciate diventano deperibili, d'altro canto lo zucchero è un ottimo conservante. Le noci caramellate son venute da sé.

 
Noci rosse di Cadine. Gherigli tinti di un bel cremisi, anche se nella sostanza come sapore non cambia una virgola. Il colore si presta al dolce natalizio, ho pensato lì per lì, quindi ne ho racimolate un bel po' e le ho spaccate sul posto. I ghiri e gli scoiattoli autoctoni non avranno gradito.


Primi tentativi falliti. La temperatura non costante della stufa a legna mi ha tirato brutti scherzi: lo zucchero per caramellare non vuole sbalzi di questo tipo. Così una volta mi si è asciugato nel pentolino, un'altra avevo paura di bruciarlo e l'ho mescolato alle preziosi noci non adeguatamente cotto. Il risultato? Zollette bianche e non dorate (foto). Buone, per carità, ma di certo queste non sono le noci caramellate che ho in mente io.

Se poi il caramello si squaglia... Ho raccolto nuove noci rosse, ho sciolto nell'acqua le zollette di sopra, e ci ho riprovato ancora. Il risultato sembrava perfetto (prima foto dell'articolo), ma, dopo una notte a raffreddare, il caramello non ha voluto proprio solidificare. Amen, le noci sono state divorate ugualmente.
Il caramello derivato dal lavaggio delle prime noci non l'ho di certo buttarlo via (foto). So che non fa bene, però cosparso su una brioche infornata è la fine del mondo. Mi ha ricordato un po' le castagne spalmabili.


Come conservare le noci caramellate? Bella domanda. Al freddo di sicuro, il fatto è che sono appiccicose, quindi l'unica carta che potrebbe andar bene è quella da forno.
Qualche pezzo ho provato a chiuderlo in un barattolo di latta, vedrò tra un mese se si è liquefatto o è rimasto mangiabile.

La morale è che il prossimo anno eviterò il caramello. Andrò di pan di noci piuttosto. Altrimenti, mi hanno riferito, basta tostare le noci nel forno, così da farle durare a lungo anche quando sono ormai sgusciate, solo perdono tutte le loro proprietà...
Aggiornamento aprile 2017: a sei mesi di distanza, le noci caramellate conservate nella latta sono ancora una bontà... (foto)