Blog parallelo

venerdì 30 settembre 2016

Talea di fico nero: quarto anno

Guardate che bestia che è diventata la piccola talea di fico nero. In soli quattro anni. E' stato necessario puntellare i suoi flessibili tronchi con dei pali, altrimenti restavano alla mercé del vento.









Metà settembre: maturano i fichi neri
Grazie al clima mite i frutti diventano belli neri. Finalmente si ragiona.
All'interno sono di un bel rosso. Alcuni, ahimé, hanno l'ospite (a casa lo chiamano suzuki), che pregiudica un po' il loro consumo fresco. Quindi li ho tagliati a metà uno per uno, ho rimosso la parte guasta e li ho messi a essiccare.


PARTE 3 - TALEA DI FICO NERO - PARTE 5

mercoledì 28 settembre 2016

Il mistero del rovo dalle more blu

Delle strane more bluastre maturano alla base dei ben più alti rovi di mora che conosciamo bene. Se non fosse per l'esortazione della vicina, che di frutti di bosco e di marmellate se ne intende, non mi sarei fidato ad assaggiarle.
Le piante in questione hanno un portamento meno vigoroso, più subdolo potrei dire, irte di minute spine, che mi ricordano quasi quelle del lampone selvatico. I fiori son completamente bianchi e non rosati, i frutti, ripeto, sono bluastri, opachi, non neri e lucidi come le more di bosco. Le drupe per mora, inoltra, sono inferiori di numero di dimensioni maggiori. 
Cerca e ricerca, pochi su internet ne parlano, scopro che questo si chiama rovo bluastro (Rubus caesius).

Mora acerba e mora matura di rovo bluastro

La prova dell'assaggio. Il sapore è aspro, alla lontana ricorda quello della mora. Si presta più per la confettura che per il consumo fresco, ha più polpa (e quindi più succo) e meno semi.
La tinta opaca e bluastra è dovuta alla cerosità che ricopre la mora. 
Il confronto tra more di rovo bluastro e di rovo


Curiosità:
Quello che comunemente viene chiamato rovo da more è costituito in realtà da numerose specie e varietà di difficile identificazione perché estremamente simili e spesso ibridate fra loro o caratteristiche di ristrette zone geografiche.
Tratto da: "Flora spontanea protetta nella Regione Lombardia" (pagina originale)

Il rovo bluastro, in ogni caso non è un ibrido di rovo, ma una specie di Rubus, parente del rovo come lo è il lampone (fonte: wikipedia).

mercoledì 21 settembre 2016

Perché il Vobis è meglio del Trony

Lo dice anche il nome. Vobis è un a voi in latino, Trony invece suona come un troneggiante (sul cliente). Il bello è che stavolta non ci stavo mica cascando, perlomeno non all'inizio...
Cercavo uno smartphone che prendesse il posto del mio fido Nokia, ormai difettoso, pertanto, superate la mie perplessità riguardo questi marchingegni diabolici, mi sono rivolto al Vobis in via brennero. Peccato solo che lì lo smartphone che puntavo, un Asus Zenfone Laser 2 in offerta, fosse disponibile solo bianco. E io detesto il bianco. Il commesso, in ogni caso, me l'ha lasciato provare (e ciò si rivelerà importantissimo per gli sviluppi della vicenda).
Così, per forza di cose (Trony e Vobis condividono il medesimo volantino) ho fatto visita prima al vicino Trony in via trener, che aveva esaurito il suddetto smartphone, e l'indomani al secondo punto ventita in via degasperi. Qui c'era, ma è successo l'imprevisto...


La tentazione della batteria capiente. Durante le mie ricerche preliminari avevo addocchiato anche il fratello maggiore dello Zenfone Laser, il Max, da tutti osannato per la lunga durata della batteria. NB: so che condurre tale tipo di ricerche sul web è dispendioso e abbastanza deleterio (ti monta dentro un'indecisione che porta al nulla di fatto), purtroppo si rivela una prassi indispensabile. In negozio gli smartphone sono piazzati tutti a faccia in su, son tutti uguali, tutti anonimi, tutti spenti. E a volte ho proprio l'impressione di saperne di più rispetto ai commessi...
Ebbene, mi sono trovato al Trony con i due smartphone vicini e non riuscivo a decidermi. Il Max era a prezzo pieno, 80€ più del Laser, mica bruscolini, con una bella batteria, la scocca in simil-pelle, il display mezzo pollice più grande. Il Laser in offerta però rimaneva la mia prima scelta, almeno finché i commessi non mi han riferito che il volantino era errato, che il suddetto smartphone in offerta era la versione non aggiornata, con display TFT anziché IPS e fotocamera da 8 megapixel anziché da 13. Prestazioni inferiori a quelle dichiarate, insomma. 
Così mi decido e compro il Max, con riserva e con l'impegno del commesso (condito pure da una stretta di mano) di potermelo sostituire entro il giorno lavorativo successivo (lunedì).

Quella scatola non l'aprirò mai, pieno di sensi di colpa. Ripensavo infatti allo Zenfone Laser provato al Vobis e, quanto ero stato stolto, era la versione aggiornata! Il volantino era corretto! E come al solito l'omino del Trony mi aveva fregato...
Allora lunedì pomeriggio ritorno in negozio, ma il commesso in questione non ne vuole sapere di sostituirmi lo smartphone (come volevasi dimostrare...). Nemmeno il suo collega.
Cosa fare allora? Procedo col reso al Vobis! (Darla vinta al Trony? Giammai!). Il commesso acconsente (alè!) e posso finalmente mettere le mani sul mio primo smartphone. Come vedete nella foto, il volantino era corretto: fotocamera da 13 megapixel e display IPS.   
Sia chiaro, i megapixel contano poco e niente (alcune foto di questo blog sono state scattate con la fotocamera da 2 megapixel del Nokia, per dire, tipo la prima e l'ultima di questa pagina). Me l'ha ribadito pure il commesso del Vobis, dimostrando una cortesia che mi sarebbe spettata pure al Trony.
La batteria del Laser dura anche quattro giorni, se non siete dipendenti di app e di telefonate. Se invece lo siete, meglio orientarsi (sul serio stavolta) sul Max. Io personalmente cercavo uno smartphone che consumasse poco, non una batteria nucleare che durasse a lungo.


Perché in fondo ho scelto lo smartphone per il colore della scocca. Un viola-anemone-selvatico o un indaco elettrico o un viola-prugna-matura, che dir si voglia, che lo rende più visibile se mi cade nell'erba.

Ecco, ora ho la fotocamerina che ho sempre desiderato ed è stato possibile solo grazie al Vobis che mi è venuto incontro. Al Trony mi hanno ingannato prima e dopo, sfoggiando una faccia tosta che non ci sono paragoni (cit.). Due negozi, due garanzie agli antipodi.
Aggiornamento 24/10/2016. Per stemperare i toni, le cassiere del Trony si sono rivelate comprensive, almeno loro, correggendo un pasticcio che non ho ancora menzionato: quando ho utilizzato il buono per comprare la reflex in offerta, se lo son tenute in cassa, venendo così a mancarmi lo scontrino per il mio smartphone. Nonostante sia passato più di un mese, han sistemato le scartoffie in appena dieci minuti.

sabato 17 settembre 2016

Le carote viola di una volta

L'ibrido viola delle carote di una volta. Pochi lo sanno, ma le carote non sono sempre state arancioni. Un tempo c'era la varietà viola e c'era la varietà gialla, poi gli olandesi han voluto fare gli sboroni e a forza di incroci hanno ottenuto la carota che si è fissata nell'immaginario collettivo.
Da queste parti si usa nominare le carote rape gialle e le barbabietole carote rosse. Investigando su questa stranezza, sono risalito alla verità di fondo. Ho quindi recuperato all'estero la semenza più appropriata tra quelle disponibili, di fatto un ibrido poiché la carota viola originale bisogna recuperarla in Afghanistan o giù di lì, e l'ho coltivata nell'orto. E nella foto il meraviglioso risultato, disteso sopra un letto di fagiolini verdi che io detesto.


Diffidate dalle imitazioni delle carote "colorate"
In commercio troverete carote viola e di molti altri colori, ma dentro restano arancioni e non hanno niente a che vedere con le carote di una volta. Diffidate dunque delle imitazioni.
Le carote viola devono la loro colorazione viola-nerastra ai preziosissimi antociani, quei coloranti che fanno un sacco di bene e son presenti anche nella buccia dell'uva (oltre che nei mirtilli, attenti però a quelli americani, mi ero lasciato ingannare a suo tempo).


Cominciamo dal principio, ossia dallo scorso inverno. Dopo un paio di ricerche ho trovato su ebay, in vendita nel Regno Unito, la semenza che faceva al caso mio. L'ibrido si chiama Purple Sun F1, che abbina gli antociani della carota viola originale al sapore dolce della carote arancione olandese.

In tarda primavera provvedo a vangare la terra (mischiandola con segatura laddove cresceranno le carote) e alla semina. Come precauzione, metto a dimora un po d'aglio qua e là: dovrebbe proteggere le future carote dai parassiti, in teoria.

In luglio il momento della verità:

Con il diradamento e il conseguente trapianto, posso finalmente guardare da vicino queste carotine viola britanniche. Sono già adorabili così.

Quelle laboriose di formiche, come al solito, hanno il loro bel da fare ad allevare nidiate di pidocchi che succhiano linfa dalla base delle foglie. Preparo quindi un macerato d'ortiche con cui aspergere le carote colpite. Rimedio blando, in ogni caso.




In settembre la raccolta:
Quando le carote spuntano da terra, allora son pronte da raccogliere. Ne prendo con parsimonia visto quanto le ho pagate (anche in termini di ore-lavoro), mischiandole con quelle arancioni, venute più tozze degli anni passati, ma non piove da un mese e si son dovute accontentare del mio annaffiare...


A proposito: le carote vanno mangiate crude, soprattutto queste viola che son piene di antociani. Altrimenti si viene a vanificare tutto.
Fatelo presente in cucina.
Fosse per me, le rosicchierei sempre appena colte da terra e ben lavate, ma, a voler fare gli schizzinosi, si possono anche raschiare e grattugiare.

Le carote tagliate in rondelle sottili rendono di più...

Coltivare zucche e pomodori penzoloni

Coltivare zucche e pomodori sottosopra suonerà come un'idea strampalata, ma a me pare più che sensata. Mi son sempre chiesto: perché la pianta deve far tanta fatica per svilupparsi verticale, quando può semplicemente sfruttare la gravità e penzolare nel vuoto?











Così le zucche violine quest'anno le ho trapiantate sull'orlo (non proprio sull'orlo, ma in prossimità), in modo che crescendo cadano a capofitto. Senza rischi: son piante rampicanti che si abbarbicano alle pietre coi loro viticci.


PS: l'anno scorso erroneamente chiamavo tale zucca "moscata", anche se mi salvo in corner dicendo che appartiene alla specie Cucurbita Moschata. Da qui il malinteso.

Che le zucche verdi si arrampichino sul ciliegio... Tanto è quasi spoglio, dopo una drastica potatura. Ho trapiantato le zucche marine di Chioggia in un mega vaso ricolmo di letame, dove ho infisso dei lunghi rami verticali, per aiutarle nell'ascesa.

I frutti son rimasti abbastanza piccoli, con poca polpa e tanta semenza, il che potrebbe far pensare che la pianta faccia fatica a mandar su in verticale liquidi e nutrienti, rispetto a quand'è sottosopra. In realtà è dipeso dall'irrigazione non proprio abbondante!

Zucche appese penzoloni anche dopo il raccolto. La maniera migliore per preservarle da marciumi, per mesi. Alcuni consigliano di usar le vecchie calze da donna, io ahimé ne son sprovvisto. Mi son dovuto arrangiare con dei lacci.
Chiudo il discorso zucche cucinandole a vapore e, perché no, mangiando l'interno dei semi. Non si butta via niente di queso meraviglioso frutto! (Lo mangio pure crudo, di sapore somiglia al melone.)


Idem i pomodori. Il piano originario prevedeva che piselli e pomodori, crescendo rispettivamente verso l'alto e verso il basso, si incontrassero a metà strada per sorreggersi gli uni agli altri, tuttavia di legumi son ghiotte un sacco di bestie e bestioline...
I pomodori si son dovuti arrangiare e non son mancati i grappoli che quasi ornavano il muro a secco (in primo piano i ceci seminati). Non ho inventato niente di nuovo, in ogni caso: son sempre state piante striscianti, anche se devo notare che i frutti sono molto vulnerabili alle mandibole delle formiche.

giovedì 8 settembre 2016

La calamita delle calamità: la corsa ai prefabbricati a spese del territorio


Un pensiero sulla scuola trentina da record di Amatrice.
Nella foto vedo un campo con un metro di terra fertile asportata bellamente sullo sfondo. Cementificare la campagna è uno scempio. Per un prefabbricato temporaneo che forse forse bastava munirsi di un pulmino e andare a scuola dove questa già c'era, nell'attesa. 
Tra un bollettino e l'altro post-terremoto, torno su un tema a me caro (quanto si somigliano le foto), che non ne vogliano (troppo) a male gli addetti alla ricostruzione e i cittadini rimasti vittime della calamità. 
Quello della cementificazione selvaggia è un errore madornale, dettato dalla frenesia in questo caso, ma imperante di fatto su tutto il territorio anche in circostanze più tranquille (vedi il sito dell'Expo per citare un altro esempio). Dico io: con tutte le strutture ricettive che ci sono, con tutti i paesi fantasma abbandonati che ci sono, perché ogni volta deve farne le spese il verde? C'è veramente il bisogno di erigere prefabbricati che deturpano la campagna e la compromettono irreparabilmente? 
Assolutamente no, no e no! 
Io sinceramente non so quanti anni richiederà la ricostruzione di Amatrice e degli altri paesi colpiti dal terremoto, ma sarebbe più conveniente ospitare le vittime nei paesi limitrofi, nel limite del possibile. Credo che costi meno un soggiorno in una struttura ricettiva che la costruzione di una casetta dotata di servizi e di allacciamenti (della serie: godetevi l'albergo senza fare storie, per una volta che è gratis). Resterò sempre dell'idea che questa scuola e tutti gli altri prefabbricati provvisori costituiranno un affronto all'opera degli antenati, che per secoli o addirittura millenni hanno coltivato e curato il territorio per trarne sostentamento. Le persone moderne sono cieche, non si rendono più conto che il loro fabbisogno alimentare dipende da una fragile (e lunghissima) filiera che francamente non so per quanto ancora possa durare. 

A proposito di filiera... I distributori all'ingrosso che riforniscono i centri commerciali dispongono di flotte di automezzi capaci di trasportare tonnellate di vivande e di vestiario ovunque sul territorio nazionale. Mezzi di dotati di celle frigorifere e gestiti da una logistica in grado di distribuire in maniera capillare. E invece arrivano gli appelli a quel povero sfigato del privato cittadino che faccia un po' di spesa, la porti nei centri di raccolta, dove altri poveri cristi che fanno i volontari devono riempire i camion, farsi 1000 chilometri di autostrada e distribuire un po' alla cavolo di cane. Io questo tipo di solidarietà la trovo assurda quanto la corsa ai prefabbricati.

La calamità del terremoto deve trasformarsi in opportunità. Se la natura ha fatto tabula rasa, la ricostruzione va fatta con nuovi criteri, bisogna innovare, dare una svecchiata generale. Non dar ascolto a slogan della serie Voglio casa mia dov'era e com'era! Grazie ma no, per favore spendete tutto quel fiume di denaro che arriverà con ingegno e lungimiranza, non per ripristinare un assetto urbano che evidentemente non sta in piedi. 
Dello stesse avviso, la mancanza dell'edificio scolastico dovrebbe fornire lo stimolo a inventarsi un nuovo modo di fare scuola, all'aperto nelle belle giornate e in edifici pubblici significativi durante il maltempo. Aria buona, natura, cultura, storia, anziché le solite lezioni all'interno di container.


Questo è quanto. Non voglio dilungarmi sul marketing che traspare nella solidarietà, sulle solite raccolte di fondi e su dove vanno a finire tutte le offerte devolute, sui giornalisti che campano sulle disgrazie altrui, ect ect. Non voglio nemmeno offendere o sminuire l'impegno di chi aiuta il prossimo. Solo che in questi casi avverto tanto isterismo collettivo e avrei voluto argomentare anche questi aspetti di contorno (il titolo si rifaceva a questo, appunto).
Un terremoto non rovina il territorio. Gli esseri umani sì, continuano a farlo.

martedì 6 settembre 2016

Piadine con l'uva (e lo zucchero a velo)

Che i Romagnoli mi perdonino, giacché l'ho combinata grossa. Nella mia strenua ricerca di qualcosa di semplice&sfizioso, ho sfornato le piadine dolci con chicchi d'uva fragola:


Vi posso assicurare che una piadina calda così, con lo zucchero a velo steso sopra, ricorda i crostoli di Carnevale. Forse per via dell'unto. Sono una valida alternativa alle piadine solari preparate qualche tempo fa.

Uva fresca e non uvetta secca, perché temevo che l'avrei seccata ulteriormente in fase di cottura sulla bistecchiera di ghisa.
Mentre l'impasto riposava, ho provveduto a togliere i semi dai chicchi dell'uva fragola casereccia.

L'uva ha aggiunto una bella nota di colore all'impasto. Notare come anche il mattarello abbia dato il suo contributo a fissare il succo violaceo sulla superfice della piadina.

Zucchero a velo, una garanzia. Perché, ahimé, l'uva aggiunta non dolcifica la piadina, perlomeno non abbastanza. Il suo sapore si avverte appena appena, a dir la verità.
Ecco allora che una bella spolverata di zucchero a velo fa al caso mio. Ne riusulta una piadina dolce, un panino con l'uvetta ridotto a una sottiletta da un rullo. Buona soprattutto.

Coltivare le vigne 3: la prima uva del vigneto

Veder maturare le piche d'uva, tingendosi di blu (e di antociani) un acino alla volta, è sempre uno spettacolo. Queste poi penzolano da una delle vigne sopravvisute o cresciute spontaneamente che avevo provveduto a regolare questa primavera. Son soddisfazioni, insomma.
D'altronde anche nel piccolo vigneto si vede la prima uva e pare strano che già al secondo anno la vigna faccia frutto, ma c'è una spiegazione: la varietà bacco è sorta da talea e non da innesto. Una varietà che cresce fin troppo vigorosamente, idem a casa.


A proposito di talee di vigna, eccone una estirpata con delicatezza questa primavera. Ha radicato! Missione riuscita, il primo step almeno.
Ora tocca metterle a dimora nei posti giusti e dar acqua affinché attecchiscano.


Maggio: rotazione delle colture.

Visto che si raccomanda di lavorar la terra alla base delle vigne (e di non concimarla o perlomeno di non esagerare) e visto che l'anno scorso avevo coltivato solinacee (pomodori, peperoni e melanzane), quest'anno semino legumi. Prima piselli e poi fagiolini verdi, in modo che arrichiscano d'azoto la terra. Oltretutto, come consiglia la saggezza tramandata, cimo le singole vigne, lasciando solo quattro o cinque occhi, cioè germogli, alla base (importante: solo quando questi sono germogliati bene!).


Destino vuole che, dopo aver fatto pulizia davanti alle vigne, sia passato un capriolo simpaticissimo: ha rosicchiato via le tenere foglie, ma ha lasciato i futuri grappoli. Non posso augurargli il cagotto perché le piante non le tratto mai. Buongustaio.
Le difese, evidentemente non sufficienti, sono state rinforzate con di tranci di rovi irti di spine...

Erbivori a parte, per buona parte dell'estate il tempo è favorevole e tutte le vigne emettono nuove foglie e nuovi getti, prosperano insommma. Le talee di bacco, come già detto, esagerano, gli innesti di sultaninau e di angela, invece, se la prendono un po' più comoda. Segue poi un mese molto secco che mette KO le talee, nonostante mi sia ostinato a innaffiarle.

Primi di settembre: la prima uva del vigneto.

Nonostante l'appetito del capriolo, alla fine è riuscita a crescere e maturare ugualmente. Piche d'uva, fra l'altro, durissime da strappare, temevo quasi di rovinar la pianta a tirare troppo.
Uva bacco anche quella inselvatichita, ora che l'ho assaggiata e ho masticato i semini croccanti...
(Nota a margine: a proposito di semi, la semina non ha dato alcun esito.)

PARTE 2 - COLTIVARE LE VIGNE - PARTE 4

sabato 3 settembre 2016

Seminare il farro 3: per un pugno di ceci

Quella dei ceci è una coltura un po' rognosetta: a differenza degli altri legumi, il baccello contiene un solo seme. Quindi, a vedere quanto cresceva bene la mia piccola piantagione all'ombra delle ultime spighe di farro, già mi immaginavo il momento del raccolto, passando ore e ore a sgranararli tutti.
E invece no. Qualche erbivoro me li ha brucati praticamente tutti!
Ma è meglio procedere in ordine...


Farro mio, quanto venivi bene...
Luglio, i ceci partono in quarta:
Nella foto a destra, sullo sfondo, i pomodori pensili.

Fine agosto, i ceci giungono a maturazione:

Ed ecco che capita il fattaccio: un simpaticissimo erbivoro, probabilmente una capriola che vedo sovente nel prato, ha pensato bene di rosicchiare via tutti i miei ceci. Sono tutti recisi.
Poi non sia mai che sia stato un ladruncolo umano a tagliarli tutti col falcetto per sgranarseli con comodo, a casa propria...




E pure il frumento sparisce:
Proprio così, sparisce da un giorno all'altro, in luglio. A voler pensar bene si è allettato per la penuria d'acqua, ma a me quelle alla base sembrano tanto orme d'ungulato e gli steli del frumento mi sembrano recisi più che piegati. E poi per terra non c'è un bel niente!

Il farro non è da meno...

A fine luglio devo constatare che le cariossidi del farro o sono vuote o son annerite.
L'unica buona notizia è che a casa il frumento spontaneo è giunto a maturazione, sotto il melo, credo che lo seminerò (foto a destra).

Per un pugno di ceci:

Questa preziosa manciata di ceci è tutto ciò che ho ottenuto, il misero epilogo di un esperimento un po' strampalato. Il nome scientifico del cece è cicer arietinum perché il seme ricorda la forma della testa di un ariete, non l'avrei mai detto.
Bando alle ciance, mi preparo un piattino delizioso col farro comperato ed i miei ceci, vedendo di accontentarmi.




Sapete cosa vi dico? Dal prossimo anno pianto ancor più melanzane. Si son rivelate immangiabili dalle bestie selvatiche, eccetto che da me.


PARTE 2 - SEMINARE IL FARRO